Campi, giardini e boschi ne offrono in quantità. Quali piante selvatiche raccogliere in autunno? Lo chiediamo oggi a una vera esperta, Dafne Chanaz
Ritorniamo alla natura e apriamoci alla raccolta delle piante selvatiche. Per farlo serve conoscerle ed essere guidati da un esperto. Chiediamo oggi a Dafne Chanaz, grande esperta di piante selvatiche ed autrice di “Il prato è in tavola” (edizioni Terra Nuova), quali piante raccogliere in autunno, come riconoscerle e beneficiare delle loro virtù.
Il prato è in tavola
Dafne, secondo me, il tuo libro è una vera e propria Bibbia. È un lavoro enorme di immagini: tutto per capire come riconoscere le piante e come usarle. Com’è nato questo libro?
È nato proprio da un bisogno, un desiderio di mettere insieme tutto quello che era disponibile come conoscenze riguardo a queste piante commestibili. Il progetto è un molto vasto, ci sono voluti circa 10 anni a partorirlo. 6 anni di lavoro effettivo, di cui due dedicati solo alle fotografie.
Facevo questo anche molto per me perché io volevo arrivare in fondo a questo tema. Avevo scoperto tutte le possibilità che avevamo con queste piante umili che non sono trattate nei trattati di erboristeria spesso. Sono piante considerate povere perché si mangiavano in tempi di guerra o perché comunque le mangiavano i contadini, le mangiavano i poveri. Vengono un po’ guardate dall’alto al basso. Invece hanno proprietà medicinali spesso paragonabili a moltissime piante medicinali più note o addirittura esotiche.
Per fare un esempio: puoi usare la malva, invece della curcuma o invece dell’aloe, come antinfiammatorio sistemico potentissimo che calpestiamo ogni giorno. Abbiamo queste risorse incredibili, gli antichi romani da mangiavano come noi la bieta oggi. E ce ne sono tantissime.
Quindi ho iniziato a fare questa ricerca. Pensavo di uscire fuori con 40 piante quasi sconosciute e tutti i loro usi. Invece ne sono uscite fuori 80 comuni a tutta la penisola. Ho trattato solo quelle che si trovano in tutta Italia, perché altrimenti magari il lettore legge il libro, scopre una pianta di interesse che non è presente, quindi o è frustrato, oppure la scambia per un’altra che è ancora peggio.
Ho dedicato tutto questo tempo, ho fatto le fotografie delle ricette, ho preparato tutto quello che ritenevo andasse fatto.
Nella cura del libro si percepisce questo lavoro minuzioso, fatto con amore, con passione.
Quello che mi ha fatto iniziare questo lavoro è stato il fatto che sono cresciuta in campagna. Quindi sono cresciuta faccia a faccia proprio con l’erba, con il prato e con tutte queste piante selvatiche. Però non sapevo assolutamente che avessero questo potenziale. In qualunque pezzo di prato, anche un’aiuola, uno spartitraffico (ovviamente lì non vanno non va raccolta), sul marciapiede, ovunque, su un pezzo di prato di 4-5 metri quadri noi possiamo trovare 10-20 piante commestibili. Su un prato di medie dimensioni ce ne sono sempre almeno 20 in ogni stagione diverse.
Quali piante selvatiche raccogliere in autunno?
Questo è un autunno un po’ atipico, è ancora molto caldo, quindi ancora troviamo una pianta estiva molto interessante, anche se è un pochino andata a fiore, però non è molto disturbante nel suo caso. (Devi sapere che le piante solitamente si raccolgono prima che vadano a fiore, perché in quel modo la foglia è più carnosa, meno amara, meno fibrosa. Mentre invece quando vanno a fiore, tutta l’energia va nel fiore, non andrebbero raccolte.)
Il chenopodio
Quindi abbiamo ancora il chenopodio, una pianta estiva, che è il farinello, lo spinacio selvatico detto anche “zampa di oca”. È abbastanza riconoscibile dalla forma della foglia molto tipica. Sulla superficie della foglia c’è questa farina che è una pruina. La foglia è molto tenera. Si chiama Bathua in India ed è una verdura molto ricercata, venduta nei mercati che rientra in molti piatti tipici.
La differenza con lo spinacio è che è molto meno acquosa e dà meno questo retrogusto metallico dello spinacio, è più soave, più rotondo il sapore e allo stesso tempo è molto intenso a livello aromatico. Possiamo fare dei piatti che prepareremo con gli spinaci. Inoltre la pianta è molto densa di sapore, povera di acqua, al contrario dello spinacio che va strizzato, invece va aggiunta acqua quando lo andiamo a cuocere.
Anche questo è un dettaglio importante perché quando andiamo a raccogliere le piante selvatiche per un chilo di pianta, noi abbiamo 1 kg di resa. (Mentre con la cicoria coltivata è tutto un altro discorso: riduce tantissimo.) Sono tutta sostanza, anzi spesso dobbiamo aggiungere liquido perché altrimenti si andrebbero a bruciare in cottura stufando. La resa può essere addirittura superiore al raccolto come prodotto finale.
Quindi con il chenopodio ci si può fare il risotto, una crema. È una pianta ottima per la circolazione sanguigna, usata nella medicina Ayurvedica per tutti i problemi legati agli organi che governano il sangue, quindi fegato, milza, contro l’anemia. Ed è anche ricca di proteine.
Dove lo troviamo?
L’unica cosa importante è non raccogliere il chenopodio in campi che siano stati concimati chimicamente perché accumula i metalli pesanti. Altrimenti si trova in tutti i terreni disturbati, smossi, quindi invade l’orto letteralmente. Lo troviamo anche appunto sui marciapiedi a Roma, lo troviamo nei fossi. Cresce abbondante, può arrivare anche a 2 m di altezza.
Lo possiamo prendere quando abbiamo questi boschetti letteralmente di chenopodio alto, prendiamo tutte le cimette e facciamo un chilo di prodotto in 5 minuti. Bisogna essere anche opportunisti, quando si raccolgono le piante selvatiche, cioè andare su ciò che è abbondante e nel momento migliore, quando la pianta sprizza salute ed è anche abbondante. Raccogliamo quella e poi cuciniamo quella, senza stare a disperderci in troppi rivoli.
Come superare l’incertezza nel raccogliere le piante selvatiche?
Io suggeriscono di fare piccoli passi. Mettersi di punta su una pianta fino ad essere sicuri di averla capita, riconosciuta, di averci preso confidenza e quindi non ti puoi più sbagliare. Arriva un momento in cui semplicemente la riconosci. Quindi andare a piccoli passi, acquisire confidenza con 5 piante magari. E poi piano piano aggiungerne via via ogni volta una, sempre con l’aiuto di una persona esperta.
Il primo riconoscimento dovrebbe avvenire con l’aiuto di un esperto che non deve essere necessariamente un botanico, può essere un’anziana signora che sa quello che fa, un contadino. Una persona che ti dia la garanzia che quella è la pianta. Una volta che hai preso confidenza, io consiglio sempre di raccoglierla, assaggiarla, cucinarla, se si mangia cotta, piuttosto che cruda. Mettere in moto tutti quanti i sensi nel processo di familiarizzazione, per poi continuare a raccoglierla. E poi di 5 in 5 si arriva a 80.
Il corbezzolo
Il corbezzolo è una bacca che forse molti di voi conoscono. È una pianta della famiglia delle Ericaceae. Addirittura appare in un quadro di Hieronymus Bosch come simbolo della lascivia, del godimento, queste bacche di corbezzolo di cui ci si nutre in natura, quindi un simbolo molto dionisiaco.
È estremamente ricco di zuccheri. Tanto che quando non disponevamo di zucchero di importazione si usava fare la sapa (o saba), cioè portare in riduzione dei frutti per riuscire ad avere uno sciroppo molto denso che si usava al posto dello zucchero nei dolci, nelle preparazioni. Una sorta di miele di frutta, una riduzione a fuoco lentissimo.
Il corbezzolo è stato usato tantissimo in Sardegna, in Corsica, in molte zone del Mediterraneo per fare questa preparazione. Tanto che ci sono dei dolci sardi che si fanno solo con la sapa di corbezzolo e ne acquistano il sapore.
Il corbezzolo è molto ricco di vitamina C. Essendo ricco di zuccheri, si può anche fermentare per produrre dei vini e degli alcool che hanno un discreto successo in Portogallo in particolare. È un frutto che ha la capacità di ridurre il colesterolo cattivo, è antiossidante, astringente, antidiarroico. È ottimo per curare i disturbi delle vie urinarie.
La bardana
Io ho una curiosità sulla bardana. Probabilmente molti di noi già la conosceranno perché si tratta di una di quelle piante selvatiche che agiscono proprio per il benessere del fegato, è un potentissimo depuratore epatico.
Intanto è riconoscibile perché ha queste foglie immense con cui addirittura durante le feste della vendemmia nell’Antica Roma si facevano maschere. Cresce perlopiù nel sottobosco e quindi abbiamo una certa facilità a poterla identificare perché rare sono le piante che hanno una foglia che raggiunge queste dimensioni, diciamo di un foglio A3.
È una pianta Zen. Io dico che la bardana è proprio un cibo Zen perché riduce il colesterolo nel sangue. Ha questo sapore, questo retrogusto di tè verde, molto delicato, ricorda un po’ il carciofo, un po’ il tè verde. Fa bene anche al fegato, come giustamente dicevi.
La bardana è molto usata come verdura nella cucina giapponese dove il tubero viene coltivato e venduto al mercato. È una radice abbastanza lunga. È importante tagliarla alla maniera sasagaki, ovvero come quando si va a temperare una matita, con tagli diagonali, un po’ casuali. Il motivo di questo taglio è conservare l’energia della pianta, quindi non bisognerebbe mai tagliare la pianta perpendicolare al suo verso di crescita, ma sempre obliqua, da dove inizia la crescita della pianta verso il suo sviluppo poi, per mantenere il suo flusso di energia e non perderla.


Della bardana mangiamo la radice, poi possiamo usare anche le foglie?
Delle foglie io consiglio di mangiare la costa un po’ come quella di bieta, si sedano, è una costa bella carnosa. E poi anche il midollo del fusto perché poi quando comincia a primavera mandare su il fusto dell’asse fiorale, il midollo può essere consumato.
La bardana contiene acido clorogenico che è una sostanza che è in grado di attivare il metabolismo della nostra pelle. Quindi quando noi la andiamo ad applicare per cicatrizzare un’acne, una seborrea, un problema di pelle, lei ha la capacità non solo di sedare come l’aloe, ma anche di in qualche modo alimentare la capacità della pelle di ricostruirsi, rigenerarsi.
Ha anche virtù disinfettanti, batteriostatiche e combatte le micosi e deterge, quindi ascessi, infezioni. Ha questa capacità di andare a risanare proprio la pelle in questi casi qui ad uso esterno, ovviamente. Basta mettere 5 mm di acqua con la foglia a sbollentare qualche minuto. Poi strizziamo e quell’acqua la possiamo utilizzare per il viso, la possiamo utilizzare per le parti della pelle che hanno problemi.
Il topinambur
I suoi fiori crescono belli alti e la foglia è rasposa. I realtà ne troviamo dei bei ciuffi prevalentemente in campagna, in alcune zone rurali.
Per tutti quanti noi il topinambur sono le “patatine” in un cerchio senso… ma cosa c’è oltre a quella radice?
Il fiore sicuramente ci aiuta a scoprire dove si trova questa pianta. Comunque è bello sapere che è una pianta che esiste allo stato selvatico. In realtà si usa il tubero comunque che cresce anche ad una certa profondità. Il consiglio per tutti quanti è quello per accoglierli quando ha appena piovuto, quando la terra è proprio zuppa di acqua. Per cui, tirando su il fusto che è molto legnoso e molto resistente, come una corda di canapa, si riesce a estrarre anche un bel mazzo di tuberi.
I tuberi raccolti allo stato selvatico sono leggermente più piccolini, però sono comunque di soddisfazione. Non abbiamo bisogno di sbucciarli, possiamo semplicemente spazzolare con la spazzolina per le verdure. Cuocere: la cosa migliore credo che sia al forno perché rendono molto bene, anche anche miscelati con un po’ di patate. Però ci sono molti altri modi di cuocerli, e anche crudi.
Libro “Il prato è in tavola. Le piante selvatiche commestibili d’Italia”, Dafne Chanaz
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