Siamo continuamente esposti al cibo, chiediamo oggi suggerimento a Gabriele Bindi, come difenderci dall’eccesso di cibo e che cos’è questo nuovo fenomeno sociale
Il cibo è ovunque, celebrato, esaltato, ritualizzato, confidiamo anche gustato. Come difendersi dall’eccesso di cibo e soprattutto che cos’è quella che viene definita “pornografia alimentare”? Chiediamo tutto questo a Gabriele Bindi, autore di “Il cibo ribelle”, ed. Terra Nuova.
Parliamo di un tema che ho molto a cuore, secondo me molto interessante, molto urgente oggi. Come difendersi da questa continua, esasperata sovraesposizione di cibo ovunque, dall’eccesso di cibo?
Quando mi sono messo a scrivere questo libro “Il cibo ribelle” non potevo non affrontare questo tema ed è stato proprio l’aggancio. La domanda centrale era: perché un nuovo libro sul cibo, perché dovremmo parlare ancora di cibo? Non se ne parla già abbastanza?
La risposta me la sono data: sì, se ne parla anche troppo di cibo. Il cibo è costantemente scodellato davanti al nostro sguardo, cattura la nostra attenzione sui principali canali televisivi, su tutte le reti, su internet. Siamo tempestati di messaggi che riguardano il cibo, le diete, fino a farla diventare anche una vera e propria ossessione.
Ma quello che mi spaventa maggiormente è questa tendenza, comunque a ritualizzare il cibo non modo esagerato, in modo sovraesposto. Una continua sovraesposizione del cibo che è fatta in realtà di artifici, di manipolazione della realtà.
Quando in una pubblicità vediamo un famoso attore che raccoglie la farina tra le mani per far vedere quello che vuol dire la macinazione a pietra, in realtà molti di noi non si sono accorti che quello che stavamo vedendo non era un mulino ma era un frantoio.
Cosa ci dice? Ci dice che c’è questo ricorso all’artificio, a volte anche un po’ grossolano. Per cui si vuole trasmettere un’idea di naturalezza, di genuinità, di creatività del cibo, tutto quello che vogliamo, e poi il cibo non lo conosciamo.
Come difendersi dall’eccesso di cibo? Conoscere il vero cibo autentico
Trovo molto forte la frase che tu dici “il cibo non lo conosciamo”. Vediamo piatti continuamente, ricette, reality, trasmissioni televisive. Andiamo in libreria e probabilmente andiamo anche ad acquistare o consultare ormai sezioni enormi e grandissime di libri. Ma come dici tu, il cibo non lo conosciamo. E facilmente ci lasciamo fare lo sgambetto dall’industria alimentare poi.
Sì, usando tra l’altro degli artifici, dei mezzi che vanno a toccare i tasti sensibili: la nostra ricerca di naturalezza, la ricerca di cibo sano.
Quello che stavo dicendo prima rispetto ai mulini, che sono per me un motore centrale di questa riscoperta del cibo ribelle, non siamo più vicini a chi produce. Non sappiamo distinguere un mulino del frantoio, non sappiamo distinguere una mela da una pera e pensiamo che le fragole crescono sugli alberi.
Questo riguarda ovviamente l’educazione rispetto al cibo. Quella che forse la mia generazione ha continuato a vedere: i nonni che coltivavano, cosa vuol dire coltivare un prodotto.
Qual è il vero cibo autentico, quindi non quello delle trasmissioni televisive, costruito, visivo, ma cos’è?
Intanto è un cibo che possiamo produrre da noi, possiamo coltivare o comunque un cibo che possiamo cucinare da noi. È un cibo che si manifesta nella sua semplicità. Il problema dell’artificio che stavo dicendo è il voler sempre camuffare un prodotto che di fatto è sempre più povero. Abbiamo impoverito la nostra tavola.
Faccio un esempio specifico: si coltivano poche varietà di grano oggi, mentre ne abbiamo un’infinità. Per fortuna c’è anche una riscoperta di antiche varietà e di prodotti diversi. Però di fronte a questa “pochezza” poi dobbiamo insaporire tutto quel grano che non sa più di niente, la pasta che non ha sapore.
La stessa cosa vale, non solo con i cereali, ma vale anche con la frutta che si riduce ad acqua e zucchero. Non siamo abituati nemmeno a percepire i sapori per quello che ci possono regalare, per quello che ci possono dare anche in termini di salute. Perché un determinato sapore corrisponde anche a un messaggio, ad un’informazione, corrisponde anche ad una diversità di principi nutritivi, che poi va a dare anche lo spessore e anche la ricchezza al nostro microbiota intestinale.
Quindi il messaggio da parte mia è quella di riscoprire davvero cosa vuol dire coltivare e quindi coltivare anche varietà nel campo. Avere anche inventiva nella cucina a casa e quindi non “appiattirsi”…
Non rimanere ai soliti ingredienti, ma scoprire anche magari andando per i mercati locali degli agricoltori.
Consentimi di dire anche: non avere un atteggiamento adulatorio nei confronti degli chef stellati televisivi, perché davvero le frontiere del gusto sono più grandi, più larghe di quanto noi possiamo pensare. Non abbiamo bisogno che qualcuno ci solletichi la nostra attenzione con nuove invenzioni. Sta a noi riscoprirle anche parte della nostra cultura, della nostra tradizione, e capire come i gusti si equilibrano tra loro. In questo c’è anche la chiave della salute tra l’altro, con questa riscoperta.
Cosa c’è dietro il “Made in Italy”?
Assolutamente, di ritornare e di scoprire quello che è il vero Made in Italy. Perché penso che all’interno di questo fenomeno di eccesso di cibo che si è creato c’è anche questo far credere che un prodotto poiché è italiano, faccia rima con… Cosa c’è dietro spesso questo Made in Italy?
C’è appunto una rincorsa del marketing per cercare di commercializzare dei prodotti che poi tanto Made in Italy non sono. Abbiamo fatto l’esempio della pasta. Prima Coldiretti diceva che due pacchi di pasta su tre sono fatte con grano proveniente da paesi stranieri. Come possiamo chiamare questa pasta “italiana”? La stessa cosa vale con i nostri pomodori che magari provengono dalla Cina. Sto ragionando sugli ingredienti base.
Certo, la frutta secca… si pensa che la mandorla è di Sicilia, invece poi proviene dall’ America…
In questo c’è un dato che mi va di sottolineare anche come dell’umiliazione di fronte a quella che è la nostra ricchezza. Noi in Italia abbiamo un terzo di tutta la biodiversità europea presente. È un territorio che ha davvero molte risorse. Ogni regione ha un suo prodotto di cereale, di verdura, molte varietà. Abbiamo 650 varietà di mais, abbiamo un centinaio di varietà di grano.
Riscoprire questi aspetti che riguardano appunto la biodiversità, fanno bene sicuramente all’ambiente, ma riguardano anche la biodiversità culturale, riguardano anche il gusto, riabituarsi anche alla diversità dei gusti.
Una mela non deve avere lo stesso sapore sempre, un vino non deve avere sempre lo stesso sapore. Nel mondo del vino si usa la parola “terroir” per dire che rappresenta un territorio. Ecco, vorrei che questo fosse anche conosciuto e applicato anche per tutta una serie di prodotti agricoli, come i cereali, la verdura, la frutta. Scoprire l’intensità di un gusto che ha un prodotto sul territorio rispetto ad un altro.


Rieducare i nostri sensi
Partiamo anche a rieducare i nostri sensi. Questa forse può essere un po’ “la porta d’ingresso” di questo modo più autentico. Perché se non si ripuliamo la bocca dall’eccesso di zucchero, da tutto quel sale, grasso e zucchero.
E ti dirò di più: l’industria del cibo, o comunque lo studio anche della psicologia che c’è dietro, tende a inchiodarci su quei gusti di base che sono l’eccessivamente salato, l’eccessivamente dolce e il grasso. Le patatine sono riunione tra queste due cose, grasso e salato. E corrispondono poi ha dei binari anche molto antichi nel nostro cervello.
Quando eravamo nella savana e cercavamo un cibo, trovare un frutto dolce era una risorsa incredibile, come trovare del grasso che ci dà energia più a lungo termine. Quindi c’è un premere sui tasti che sono presenti in noi e che adesso però ci schiavizzano, ci conducono verso anche la dipendenza e verso le malattie. Perché tutti i problemi alimentari, l’obesità, il diabete di tipo 2, tante malattie oggi sono riconducibili agli stili alimentari e ai vizi alimentari, ad un eccesso di cibo, ma anche un eccesso di alcuni prodotti che sappiamo ci fanno male.
Non vorrei fare un moralista, non vorrei passare per un castigatore. Per sfuggire da tutto questo dobbiamo invece scoprire la bellezza, la purezza, ma anche la bontà di quel prodotto originario, non camuffato, non edulcorato, non intriso di tutti quei conservanti, additivi, insaporitori.
Non abbiamo paura di provare a fare questo passo!
Tu hai fatto la domanda sul Made in Italy. Oserei dire anche la dieta mediterranea che comunque veramente ha degli spunti eccellenti, anche se non è applicabile in tutte le parti del mondo, però il modo in cui veniva studiata la dieta mediterranea dai primi cercatori, Ancel Keys, era diversa da quella che abbiamo oggi. Oggi includiamo dentro la dieta mediterranea tante cose che poi realtà non fanno parte di quello stile alimentare che era molto povero di proteine animali, era molto ricco di verdure.
Ecco, che cosa vuol dire dieta mediterranea?
Vuol dire essenzialmente un grande ricorso a verdura, frutta di stagione, cereali integrali, legumi e in modo occasionale pesce e altre proteine animali. In particolare più pesce, che carne e il resto. Quindi direi che è molto diversa da quella che ci viene commercialmente proposta.
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