Chi sono i riduzionisti e perché sono così importanti secondo la scrittrice Grazia Gironella
Vegetariano e vegano sono termini ormai comuni. Anche se molte persone non conoscono nel dettaglio le differenze, è risaputo che entrambi gli approcci alimentari non prevedono il consumo di carne. Chi sono, allora, i riduzionisti?
La teoria degli alimenti è di grande importanza etica e politica. I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliorare il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore. L’uomo è ciò che mangia.
(Ludwig Feuerbach – Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia, 1862)
Le parole polemiche del filosofo bavarese riecheggiano, con altri scopi, una verità innegabile: il nostro approccio all’alimentazione ha un significato profondo e implicazioni di vasta portata. Se anche non siamo semplicemente “ciò che mangiamo”, come sostiene Feuerbach, è vero che le nostre scelte nell’ambito dell’alimentazione parlano del nostro modo di essere, delle nostre consapevolezze, della nostra evoluzione come esseri umani – un’evoluzione non astratta, ma filtrata dalle nostre caratteristiche personali ed espressa nei gesti quotidiani.
Una lettura illuminante
Cinque anni fa mi capitò di leggere “Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?” di Jonathan Safran Foer. Ora so che già da tempo si erano accese le critiche verso gli allevamenti intensivi, ma prima della lettura di questo libro ero del tutto ignorante sull’argomento. Se anche mi fossero arrivate certe informazioni, credo che le avrei considerate circoscritte a un numero limitato di paesi e allevamenti – eccezioni in negativo, insomma.
Scoprii leggendo la diffusione del problema e i dettagli delle pratiche comuni negli allevamenti. Rimasi senza parole. Ho sempre avvertito molto forte il legame con gli animali e la Natura in generale, eppure avevo sempre mangiato tranquilla i miei pasti, senza interrogarmi sui retroscena del cibo che avevo nel piatto! Mi vergognai della mia ignoranza, che nasceva comunque da una forma di superficialità. Non potendo cambiare il passato, potevo però cambiare il futuro.
L’argomento irruppe con forza nella mia vita familiare, mentre riferivo ciò che stavo leggendo. In pochi giorni io, mio marito e mio figlio adolescente ci trovammo a mettere in discussione in toto l’uso dei prodotti di origine animale.
Dalla teoria alla pratica
Sembra l’inizio di un lieto fine del tipo “e vissero tutti vegani e contenti”. Le cose, però, non andarono esattamente così. Cessare il consumo di prodotti animali significa cambiare molte delle proprie abitudini – un’operazione non facile nemmeno quando si è soli, figurarsi quando le persone coinvolte sono tre. Per mesi transitarono in casa cibi fino a quel momento sconosciuti: seitan, tempeh, tofu, soia in varie forme, salumi vegani, hamburger e bevande vegetali, semi, cereali integrali e integratori di vitamine, tutto tassativamente biologico. La verdura, la frutta secca e i legumi avevano sempre fatto parte della nostra alimentazione.
Dopo qualche settimana iniziarono le prime defezioni: a mio marito non piacevano le novità che portavo in tavola; i sapori erano diversi dai cibi cui era abituato, secondo lui tutti in senso peggiorativo. Mio figlio apprezzava alcuni cibi, ma si chiudeva il naso davanti a quelli integrali. Io nel frattempo, non essendo esattamente un’appassionata di cucina, insistevo a sperimentare tutti i cibi vegani pronti che trovavo in commercio, nell’inconscia speranza che qualcuno di essi fosse gustoso già per sua natura, anche senza l’intervento delle mie inesistenti abilità.
La situazione arrivò a un punto di stallo quando mi resi conto, o semplicemente accettai di riconoscere, che spesso i miei “esperimenti” languivano nel frigorifero, mentre i miei familiari – che pure erano e tuttora sono sensibili alle problematiche ecologiche e animaliste – si cucinavano altro. E io, apprezzavo gli esperimenti in questione? Non sempre. Molti dei prodotti pronti che sperimentavo avevano un gusto insoddisfacente; anche i cibi che mi piacevano di più diventavano meno piacevoli se gustati in solitudine, magari dopo avere lavorato il doppio per prepararli. Il piacere di sedersi a tavola insieme stava diventando un miraggio.
Il potere dell’etichetta
In questi mesi di silenziosa lotta, parlando con alcuni conoscenti mi definii incautamente “quasi vegana”. Pessima idea! La reazione dell’altra parte fu indignata, quasi rabbiosa: non si può essere “quasi” vegani; o lo si è, o non lo si è.
Sul momento mi sentii in colpa: come avevo osato utilizzare quei termini in modo così improprio? Subito dopo, però, iniziarono altre riflessioni. Per me “quasi vegana” significava soltanto che cercavo di evitare i cibi animali, senza però spingermi a controllare gli ingredienti di cibi non sospetti, per esempio, oppure rendere i pasti durante i viaggi un problema di menù. Mi resi conto di essermi scontrata con una “questione di etichetta”, non intesa come bon ton, ma come tendenza a usare etichette per definire se stessi e gli altri – etichette che talvolta si traducono in staccionate e in giudizi sommari.
Questo spiacevole episodio ebbe il benefico effetto di farmi riflettere sulla svolta alimentare che stavo cercando di imporre a me stessa e ai miei familiari. Non mi interessava rientrare in una categoria. Cercavo un modo per rispettare l’ambiente e le altre creature, e insieme rispettare me stessa e la mia famiglia, con le nostre specifiche caratteristiche. Potevamo trovare la nostra strada, anziché seguire a fatica quella tracciata da altri?
La resistenza al cambiamento
Credo che poche persone siano realmente insensibili alle sofferenze che gli allevamenti intensivi impongono agli animali, e alle problematiche che causano all’ambiente in termini di inquinamento, cattivo utilizzo delle risorse alimentari e degli antibiotici. Credo invece che molte persone, di fronte all’idea di cambiare dieta, si arrestino intimidite dalle possibili implicazioni.
Non potrei mai essere vegetariano/vegano.
I motivi possono essere tanti, reali e immaginari: mi piace troppo la carne, le mie condizioni di salute non lo permettono, costerebbe troppo, temo di sbilanciare la mia dieta, non so dove reperire i cibi giusti…
Ognuna di queste obiezioni ha una risposta valida. Credo però che cambiamenti di questa portata vadano affrontati in modo personale, quindi anche nel rispetto del proprio carattere e della propria situazione. Quella di essere vegetariani o vegani, con coerenza, è senza dubbio una scelta di valore. Non per questo altre scelte, meno drastiche ma che vanno nella medesima direzione, sono da considerarsi di serie B.
Regole esterne e interne
Molte “regole” vengono create, e arrivano a essere percepite come necessarie e inevitabili, soltanto perché nella vita moderna abbiamo perduto la nostra sensibilità originaria. Se l’essere umano fosse sempre stato ottuso come è oggi, certo le sua evoluzione si sarebbe interrotta molto presto! Ciò che si è perduto, tuttavia, può essere recuperato, perché ci appartiene. Possiamo iniziare a prestare attenzione ai messaggi che ci arrivano dai nostri sensi, dal nostro intuito e dal nostro cuore, anziché soltanto a quelli che ci pervengono dall’onnipresente ragione. Dimentichiamo per qualche tempo tutto ciò che sappiamo per averlo letto o sentito da qualche parte, e vestiamo i panni dell’osservatore di noi stessi.
Quali cibi aumentano le nostre energie? Quali producono benessere, fisico e psicologico? Cosa ci rende torpidi o irritabili? Quali ci permettono di dormire meglio? Quali danno sollievo ai nostri disturbi (gastrici, per esempio) e quali li accentuano? Quanto dobbiamo mangiare per sentirci bene? Quali cibi attraggono il nostro “istinto animale” – che esiste, anche se poco allenato – in ogni specifico momento? Se dovessimo agire in prima persona per uccidere un vitello, un maiale, un pollo, come ci comporteremmo? Impareremmo a farlo senza problemi o cercheremmo delle alternative?
Queste domande, strane e forse disturbanti, servono a riportarci al centro della scena. Ogni cambiamento importante nasce e si sviluppa da un coinvolgimento globale della persona. Se questo coinvolgimento manca, se ci si affida a criteri esterni senza avvertirne il reale valore, difficilmente gli sforzi saranno fruttuosi. L’esempio degli altri può esserci di ispirazione, ma siamo sempre noi il fulcro del cambiamento, nostro e del mondo. Nessuno può essere consapevole al posto nostro.


Il nostro “lieto fine”: siamo riduzionisti in evoluzione
A questo punto sarete curiosi di sapere com’è finita in famiglia. Alcuni cibi vegani confezionati sono spariti; altri si sono guadagnati un posto fisso nel nostro menù, mentre di altri ancora sono l’unica estimatrice. Gli alimenti integrali, ahimè, non hanno attecchito e restano l’eccezione, non la regola. Mangiamo carne o pesce più o meno un paio di volte la settimana, anziché ogni sera come in passato. A colazione usiamo bevande vegetali. Utilizziamo per quanto possibile cibi biologici. Nell’insieme abbiamo ridotto di due terzi circa il consumo di carne (da 200 chilogrammi annui a 70 chilogrammi circa).
Ho scoperto pochi giorni fa che il nostro modo di alimentarci ha un nome: riduzionismo. Non che sentissi la mancanza di un’etichetta, visto l’effetto di divisione che può creare tra le persone. Ma dato che il termine esiste, lo userò per definirci: siamo riduzionisti in evoluzione, vale a dire
riduzionisti che proseguono sulla strada del cambiamento, non soltanto alimentare.
Anche se la carne ci piace, abbiamo notato che la sua comparsa sulla nostra tavola si dirada naturalmente. Aspettiamo con curiosità che quella sintetica abbia un costo accettabile per provarla. Speriamo di vedere al più presto etichette che riportino chiaramente le condizioni di vita degli animali da cui provengono i prodotti, in modo da poter premiare i produttori e i venditori virtuosi. Sosteniamo un’associazione che lavora per migliorare le condizioni di vita degli animali allevati.
Vedere la questione sotto forma di aut aut, o vegetariani/vegani o niente, rischia di farci rinunciare anche ai cambiamenti possibili. Il mio messaggio è: informatevi, osservatevi, sperimentate. Fate un passo dopo l’altro, senza forzature. Anche questo aiuterà il mondo. A modo vostro.
Grazia Gironella
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Ha pubblicato, oltre a un manuale di scrittura creativa e numerosi racconti, i romanzi Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti. Sul suo blog Scrivere Vivere parla della sua passione per la scrittura.
Libri di Grazia Gironella
Tarja dei lupi: Racconto fantasy
Nel cuore della storia: Appunti di scrittura creativa
Searching for Goran: A gripping mystery novel
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