Dal passatempo alla terapia, scrivere è un’attività preziosa
La parola, pronunciata a voce o scritta, è potente. “In principio era il Verbo” si dice nel Vangelo di Giovanni, ma già negli antichissimi Veda, fondamentali per l’insieme di dottrine e credenze religiose che va sotto il nome di induismo, viene posta all’origine della creazione la sillaba sacra Om, o Aum.
La distanza che ci separa da questi testi sacri è enorme soltanto all’apparenza. L’uomo non è cambiato nelle sue dinamiche fondamentali, e la parola resta tuttora, anche nella vita quotidiana, uno strumento di grande forza creatrice, oppure distruttrice, a seconda di come viene usata. Le parole, infatti, possono creare formidabili collegamenti tra gli esseri umani, diffondere l’informazione e favorire l’empatia, ma possono anche ingannare, ferire e manipolare.
A volte incontriamo parole che ci ispirano; ci sentiamo esseri umani migliori per averle lette o sentite. D’altra parte, quante volte un litigio sfuggito di mano ci lascia l’impressione di essere stati sminuiti e calpestati dalle parole dell’altro, oppure di avere danneggiato il rapporto dando voce alle parole che covavano dentro di noi? Ma pensiamo anche alla lettura, alle soluzioni che possono nascere dopo un confronto di idee o alla calma creata dalla preghiera. Dalle parole può nascere davvero di tutto.
Esistono anche studi che aprono prospettive diverse e interessanti, sebbene non siano riconosciuti dalla scienza tradizionale. Penso per esempio al giapponese Masaru Emoto, che nei suoi esperimenti sui cristalli nati dal congelamento dell’acqua riscontrò come la loro struttura cambiasse in seguito all’esposizione a diversi fattori, tra cui anche le parole, scritte o pronunciate.
Per tutti questi motivi, non posso che trovarmi d’accordo con la scrittrice Toni Cade Bambara.
Le parole vanno prese sul serio. Le parole mettono in moto la realtà; io l’ho visto. Le parole creano atmosfere, energie, campi elettrici; io l’ho percepito. Le parole congiurano. Per questo cerco di prestare attenzione a ciò che pronuncio, scrivo, canto. Scelgo con cura a cosa dare voce.
Ma non è soltanto tramite la voce che le parole possono esercitare i loro potenti effetti. Per me che scrivo, forse è un’ovvietà che la parola scritta sia magica. Meno ovvio, per quanto noto, è che la scrittura, praticata con modalità diverse, possa apportare benessere e guarigione a tutti, come testimoniano le numerose psicoterapie che la utilizzano come strumento di cura. Quella che sto per raccontarvi, però, è la mia esperienza personale.
Scrivere contro la solitudine
Il mio rapporto con la parola scritta nasce prima della scuola. Avevo imparato a leggere molto presto ed ero stata subito catturata dai libri, che consumavo come cioccolatini, complice un’infanzia piuttosto solitaria. Da questa situazione e dalla confidenza con la parola scritta nacque molto presto il desiderio di tenere un diario – un’abitudine che mi accompagna da allora. Ecco una prima, utile funzione dello scrivere: parlare con se stessi per tenersi compagnia, ritrovarsi sulla pagina come ci si incontra con un amico.
Scrivere per sfogarsi
Con l’adolescenza arrivarono nuove idee, passioni divoranti e scontri aspri, che spesso non trovavano adeguata soddisfazione nei contatti con il mio mondo, oppure preferivo tenere per me. Il diario diventò un’importante valvola di sfogo per emozioni che altrimenti avrebbero potuto sopraffarmi. Inventai anche un mio codice personale a prova di intruso: una grafia minuta al punto da essere quasi illeggibile, con parole attaccate le une alle altre, senza spazi, in un flusso ininterrotto. Se qualcuno era interessato a curiosare, come minimo doveva armarsi di pazienza.
Rabbia, amori, malinconie e delusioni trovarono nel mio diario uno spazio in cui potevo esprimermi come volevo, anche in modo estremo, senza subire critiche e giudizi. Sfogarsi in questo modo diventa una forma di accettazione di sé: in questo momento mi sento così. Solo dall’accettazione, basata sulla consapevolezza che ogni cosa ha una sua ragione d’essere, si può partire per il momento successivo, quello dell’elaborazione e del pensiero critico.
Scrivere per conoscersi ed elaborare
Sfogarmi era importante per diminuire la pressione interiore esercitata dai sentimenti più intensi. Una volta che i miei picchi emotivi si erano almeno in parte quietati, però, dovevo fare un passo oltre. Vedere i miei pensieri sulla carta – perché allora tale era, e non un file su PC – mi aiutava a vedere i fatti in una luce più obiettiva per comprenderli meglio ed elaborarli, fino a raggiungere una qualche conclusione portata non dalla tempesta, ma da un ragionamento sereno.
Scrivere per conservare traccia di ciò che conta
Dopo la nascita di mio figlio, diventò importante registrare i piccoli e grandi cambiamenti dei suoi primi anni di vita, in modo da conservarli nella memoria. Da allora ho conservato la propensione a prendere nota nel mio diario di ciò che non deve andare perduto, che sia un’intuizione illuminante, la conoscenza di una persona speciale o qualunque passo avanti nel mio percorso di crescita personale. Questa nuova funzione ha sostituito la precedente di diario come confidente nei momenti difficili.
Scrivere per creare
La lettura mi ha accompagnata per tutta la vita, senza conoscere momenti di stanchezza. A nove anni tentai di scrivere un romanzo che si arenò dopo pochi capitoli, come era prevedibile. L’istinto di scrivere storie, però, si stava già manifestando. Considerato quanto amavo leggerle, non era affatto strano.
Da adulta mi è capitato spesso di invidiare gli scrittori. Che privilegio potere offrire ai lettori idee ed emozioni così straordinarie, e che fortuna avere un lavoro appassionante che si poteva svolgere in totale autonomia! La mia era un’invidia leggera, priva di implicazioni. Gli autori pubblicati sapevano scrivere davvero. Erano, insomma, lontani anni luce da me, comune mortale.
Non sempre, però, i libri in cui mi imbattevo erano degni di essere letti. Eppure erano lì, negli scaffali delle librerie, magari con un marchio editoriale prestigioso. Tutti i gusti sono gusti, si sa. Un giorno, però, dopo avere letto un romanzo fantasy particolarmente banale, presi in mano un foglio A4 e la penna. “Persino io so scrivere meglio di così!” Di getto – e un po’ indignata, a dire il vero – scrissi una lista di quelli che consideravo ingredienti necessari per una buona storia fantasy: un eroe, degli alleati, un antagonista, una missione, un talismano…
Era soltanto uno scherzo, o almeno così credevo. Oggi, dopo avere pubblicato numerosi racconti e tre romanzi (nessuno dei quali di genere fantastico), più un manuale di scrittura creativa, sono convinta che quello “scherzo” mi abbia chiamata a vivere un’esperienza fondamentale, da cui ho appreso nuovi risvolti della parola scritta e molto di più. Scrivere ha infatti portato nella mia vita un risveglio globale, con nuove idee e nuovi interessi, come se aprire le porte alla creatività avesse sbloccato altre possibilità da sempre in attesa.
Scrivere storie
È una domanda che le persone mi fanno spesso: come inventi una nuova storia? Ti ispiri a persone che conosci, a libri che hai letto, oppure…?
Capisco la loro curiosità. La genesi di un racconto o di un romanzo è soltanto in parte chiara, anche a me che scrivo. Gli spunti iniziali sono in generale nella vita e nel mondo che mi circonda, ma in seguito, mentre uso l’immaginazione per svilupparli, entrano in gioco forze estranee al mio controllo, che si traducono, per esempio, in svolte impreviste nella trama e in personaggi che si comportano diversamente da quanto avevo deciso.


Nell’uso della fantasia, quindi, al di là delle scelte tecniche dell’autore vengono a emergere anche elementi non pianificati, a volte discreti, a volte insistenti o persino ossessivi. Nel tempo si impara a riconoscerli, sotto i loro diversi travestimenti. La loro presenza crea spesso nell’autore la curiosa impressione che quella specifica storia voglia essere raccontata in un certo modo e non in un altro, con una dinamica che ha sicuramente le sue radici nell’inconscio, ma resta tutto sommato misteriosa.
L’elaborazione della storia porta a vivere (o forse ri-vivere) determinate situazioni in modo vicario, quindi da una posizione sicura, attraverso le vite dei personaggi. Il finale può concludere questioni personali rimaste aperte e proporre un esito positivo, o al contrario ribadire l’impossibilità di tale esito. Questo offre all’autore, in caso lo desideri o ne abbia bisogno, la possibilità di riconoscere i pezzi di sé sparsi nella storia per affrontarli con maggiore consapevolezza.
Detto tutto questo, scrivere è un’esperienza che consiglierei a tutti. Dal punto di vista della conoscenza di sé e dell’autoterapia viene da molti suggerito di scrivere a mano libera, se possibile appena svegli, ma altre modalità non impediscono di godere dei benefici della scrittura, né del piacere che ne nasce. Nessuno dovrà vedere ciò che scrivete, a meno che non lo vogliate… sempre che questa magica attività non vi prenda la mano, come è successo a me, e non nasca il desiderio di pubblicare i vostri scritti per condividerli con un pubblico di lettori. In quel caso, vi invito a farmi visita sul mio blog Scrivere Vivere, dove potrete trovare abbondante materiale sull’argomento.
Buona scrittura a tutti!
Grazia Gironella
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L’arte di raccontare storie godendosi il viaggio.
Un manuale di scrittura semplice, sintetico e completo. Non regole, ma consigli per curare al meglio gli elementi della storia, risolvere i problemi che si incontrano scrivendo, imparare dalle letture, e in ultimo regalare al lettore un’esperienza memorabile. Argomenti trattati: idee – trama – personaggi – dialoghi – ambientazioni e descrizioni – stile – revisione – soluzione dei problemi legati alla pratica della scrittura.