Dopo la carne anche il pesce sintetico potrebbe arrivare presto sulle tavole di americani ed europei. Approfondiamo insieme uno dei temi più attuali del momento, dopo il recente divieto espresso dall’Italia di produzione di alimenti sintetici nel nostro Paese
Dopo il via libera in America alla commercializzazione della carne sintetica, sembra aprirsi presto una possibilità anche per il pesce sintetico prodotto in laboratorio. Mangiare quindi del pesce non proveniente da pesca od allevamento sembra essere qualcosa di sempre più prossimo alla realtà visto che anche il settore dei prodotti ittici da laboratorio attrae sempre più investitori.
Nell’attuale scenario politico del Green Deal europeo che mira alla transizione verde come risposta al cambiamento climatico, ci attendiamo in questo 2023 una possibile manovra volta all’approvazione della commercializzazione della carne e del pesce sintetici.
Nel frattempo l’Italia rinforza la sua posizione in merito, vietando la produzione di carne, pesce e latte sintetico. Una posizione apparentemente salvifica e dettata dal buon senso, ma attenzione, qualora l’Efsa, l’autorità per la sicurezza alimentare, dovesse approvare l’uso e la commercializzazione negli stati Ue degli alimenti sintetici di produzione quindi estera, allora anche l’Italia non potrebbe opporsi alla loro distribuzione. Quindi no al produrre, sì all’esportare.
l dibattito, quindi, rimane aperto, e ricco di interrogativi.
Pesce sintetico, è etico?
Quando si parla di allevamenti intensivo non dobbiamo pensare solo a quelli di bestiame, ma avere come riferimento anche l’industria ittica. Il 55 per cento degli oceani sono sfruttati per la pesca commerciale. La piattaforma Global Fishing Watch rivela che un terzo degli stock ittici globali attualmente è sovra-sfruttato e circa il 60% è sfruttato fino alla capacità massima.
Fra tutti i pesci catturati in mare, uno su cinque finisce preda della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, considerata come il sesto più grande crimine globale con un giro d’affari stimato in 23,5 miliardi di dollari all’anno.
Risulta urgente quindi un cambio di tendenza, ovviamente come sempre con la consapevolezza di chiederci se il pesce sintetico sia o no veramente etico, se significa mangiare secondo natura alimentarci con pesce sintetico prodotto in laboratorio da delle cellule animali. Si tratta davvero di una scelta etica?
Ad occuparsi della produzione della prima carne di pesce sintetico è la start up californiana BluNalu che con il suo progetto ha raccolto l’adesione della Nomad Foods quella che noi conosciamo come Findus. Si tratta di una partnership tra America ed Europa, continente questo maggiore imprenditore globale di pesce e con un consumo addirittura triplo rispetto a quanto prodotto.
BluNalu Seafood sta lavorando per ricreare salmone atlantico, trota iridea e carpa, ma per ora punta a prodotti più fruibili come polpette e bastoncini di pesce tipo i ben noti bastoncini findus, già recentemente presentati e pronti per essere commercializzati.
Il business è solo all’inizio e già un’altra azienda con sede a San Francesco, la Wildtype, ha iniziato la produzione di pesce sintetico per sviluppare salmone coltivato adatto al sushi, mentre CellMeat in Corea del Sud, sta lavorando per realizzare gamberetti in laboratorio.


Le aziende che coltivano pesce sintetico ricevono ingenti finanziamenti per il loro lavoro, ma ovviamente il dibattito è più che mai aperto. C’è chi sostiene il vantaggio etico e in termini di impatto ambientale, chi è a favore con l’obiettivo di ridurre i rischi sulla salute del consumo di pesce contaminato, altri ritengono che questo non basterà per ridurre la pesca intensiva poiché i costi sono davvero troppo alti.
Fatto sta che questo 2023 rimarrà un anno deciso per quella che sarà la svolta futura dei prossimi anni. Quello che possiamo fare è continuare a rimanere informati, a farci delle domande e non dimenticare che il cibo che nutre corpo e anima è quello semplice del nostro territorio, vicino a noi e prodotto in modo rispettoso e gentile non dalle grandi multinazionali, ma dai piccoli agricoltori che necessitano del nostro sostegno di consumatori consapevoli.
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