Che cos’è il glutine? Differenza tra celiachia e sensibilità al glutine? Risponde la Dott.ssa Maria Alessandra Tosatti
Il glutine è un complesso proteico (gliadina e glutenina) contenuto nella cariosside di alcuni cereali (frumento, farro, kamut, triticale, spelta, orzo, segale) e in tutti gli alimenti derivati da questi tipi di cereali (es: pane, pasta, farina, pizza, biscotti ed in genere tutti i prodotti da forno oltre che in alcuni additivi/addensanti).
A contatto con l’acqua queste proteine si dispongono in una struttura reticolare che conferisce elasticità agli impasti ma può anche essere aggiunto a vari tipi di prodotti industriali (es: dadi, salse, bevande, caramelle, yogurt, ecc..) .
Cos’è la celiachia?
Sempre più spesso capita di incontrare persone che osservano la comparsa di alcuni disturbi in seguito al consumo di frumento o derivati e, per questo, si definiscono intolleranti al glutine. Ma lo sono davvero?! Probabilmente no!
L’intolleranza al glutine (celiachia) è un’enteropatia infiammatoria permanente e autoimmune, provocata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. È la più frequente intolleranza alimentare, colpisce circa l’1% della popolazione mondiale e si caratterizza per un particolare aspetto istologico della mucosa duodenale.
Interessa quindi solo i soggetti geneticamente predisposti nei quali l’assunzione di alimenti contenenti glutine scatena una reazione anomala da parte del sistema immunitario che si manifesta a livello dell’intestino tenue con lo sviluppo e il mantenimento di uno stato infiammatorio cronico.
L’infiammazione determina progressiva atrofia dei villi intestinali, iperplasia delle cripte e infiltrazione linfocitaria che portano alla perdita della capacità di assorbimento dei nutrienti, favorendo la comparsa di alcuni sintomi tipici e atipici che possono far sospettare l’intolleranza (es: diarrea, gonfiore addominale, nausea, dimagrimento, osteoporosi, anemia, ritardo della crescita nei bambini, infertilità, ecc…).
Quindi le manifestazioni cliniche sono estremamente eterogenee, non limitate all’intestino tenue che è il bersaglio principale, e variano da paziente a paziente, a seconda dell’età d’insorgenza della malattia.
Riconoscerle precocemente le condizioni patologiche associate, permette di evidenziare una celiachia ancora non nota e iniziare quanto prima la dieta senza glutine.
Infatti, in questi casi, seguire per tutta la vita un regime alimentare rigorosamente privo di glutine, rappresenta attualmente l’unica terapia disponibile, efficace e in grado di portare alla regressione delle lesioni della mucosa intestinale e alla scomparsa della sintomatologia.
In Italia si contano circa 200.000 diagnosi di celiachia di cui 2/3 per le femmine e 1/3 per i maschi (dati del 2016) ma si tratta di un valore sottostimato.
Infatti i celiaci potrebbero essere tra i 400000-600000, calcolando coloro che, pur avendo la predisposizione genetica o una lesione iniziale della mucosa intestinale o esami sierologici positivi, non manifestano ancora una chiara sintomatologia (celiachia silente e latente). Questi soggetti rappresentano la parte sommersa, non nota, dell’iceberg che comunemente si utilizza per rappresentare la popolazione celiaca.
La genetica
Per sviluppare la celiachia è necessaria una “predisposizione genetica”. Il ruolo della genetica è supportato da numerose evidenze come il maggior rischio di malattia nei parenti di primo grado di un celiaco e la concordanza superiore al 75% nei gemelli omozigoti e al 13% nei gemelli dizigoti.
La predisposizione genetica si basa sulla presenza di specifici alleli del complesso maggiore d’istocompatibilità o HLA di classe I e II. I geni di classe I e II del complesso HLA umano si trovano sul cromosoma 6 e codificano per glicoproteine che legano peptidi affini, formando un complesso che viene riconosciuto da alcuni recettori dei linfociti T che si trovano nella mucosa intestinale.
In particolare, è stata dimostrata l’associazione tra la malattia celiaca e i geni del complesso HLA-DQ (DQ2 e/o DQ8, nel 90% dei casi si trova il DQ2).
Il 25-30% della popolazione pur avendo questi geni non svilupperà mai la malattia. Ciò dimostra che la genetica è un fattore necessario, ma non sufficiente, all’insorgenza dell’intolleranza.
I celiaci che non ricevono una diagnosi corretta entro i primi 10 anni di vita, possono sviluppare malattie autoimmuni, linfomi intestinali e osteoporosi a causa della prolungata esposizione al glutine.
Per questo l’indagine genetica con l’identificazione degli alleli HLA DQ2/DQ8 rappresenta uno strumento fondamentale nella diagnosi di celiachia atipica o asintomatica e tra i familiari dei celiaci.
Il test genetico consente quindi un approfondimento diagnostico per soggetti sintomatici ma con esami anticorpali negativi o con familiarità positiva. Può inoltre essere determinante nei casi dubbi in cui non vi è una corrispondenza tra la sierologia e l’esame istologico.
Il test genetico negativo, cioè l’assenza degli alleli DQ2 e/o DQ8, consente di escludere una celiachia con un grado di sicurezza pari al 99%.
Va detto che oltre alla predisposizione genetica esistono fattori esogeni che possono contribuire all’insorgenza della malattia.
Uno di questi è sicuramente la quantità e la qualità del glutine assunto che sembra aver contribuito all’incremento della prevalenza osservato negli ultimi decenni.
In presenza di predisposizione genetica, anche infezioni intestinali, eccessivo utilizzo di antibiotici, sostanze inquinanti, alimentazione scorretta, stress, alcol, fumo potrebbero rappresentare uno stimolo allo sviluppo dell’intolleranza.
Il meccanismo patogenico
La patogenesi della malattia celiaca è incentrata sul ruolo dei linfociti T. I peptidi tossici, particolarmente resistenti all’azione digestiva degli enzimi pancreatici e delle peptidasi intestinali a causa del loro alto contenuto in prolina, subiscono nell’intestino una trasformazione ad opera dell’enzima transglutaminasi che li rende estremamente adesivi alle cellule APC (Antigen Presenting Cells), macrofagi dendritici deputati alla presentazione antigenica.
In pratica, la gliadina (una delle proteine che costituiscono il glutine), una volta “attivata” dalla transglutaminasi tissutale, si lega alle molecole HLA DQ2-DQ8 delle cellule APC e attiva i linfociti T CD4+ presenti nella lamina propria della mucosa intestinale.
In seguito, questi linfociti T migrano dalla lamina propria alla zona subepiteliale dove producono diverse citochine (es: interferone γ, IL- 2, IL- 4, TNF-α). Queste citochine inducono la morte cellulare (apoptosi) che, insieme all’iperproliferazione cellulare, causa l’appiattimento della mucosa intestinale.
Oltre all’azione dei linfociti T, nei soggetti celiaci intervengono anche i linfociti B con produzione di anticorpi anti-gliadina, anti-endomisio e anti-transglutaminasi tissutale. Questi anticorpi sono marcatori utili per la diagnosi, ma non è chiaro se contribuiscono al danno mucosale o se vengono prodotti in conseguenza.
Tutti questi anticorpi sono glutine-sensibili, scompaiono cioè dal siero dei pazienti quando seguono la dieta priva di glutine, in un tempo relativamente breve (4-6 mesi o più, in base alla gravità del danno).
Diagnosi
È importante sottolineare che alla diagnosi di intolleranza si arriva attraverso precisi iter diagnostici che prevedono il dosaggio degli anticorpi IgA anti-endomisio (EmA) degli anticorpi IgA anti-transglutaminasi (anti-tTG) nel sangue. Può essere poi necessario l’esame istologico su biopsia della mucosa dell’intestino tenue prossimale per confermare la diagnosi.
Vanno assolutamente evitati test proposti da farmacie, erboristerie o professionisti irresponsabili che sottopongono i pazienti ad indagini prive di qualsiasi affidabilità e validità scientifica, che, oltre ad essere inutili, ritardano la diagnosi corretta facilitando l’insorgenza di condizioni gravi. Quando si tratta di salute, rivolgetevi a professionisti!
Se vi sembra di avere dei problemi quando consumate alimenti con glutine, una vota esclusa la celiachia, è possibile che soffriate di sensibilità al glutine non celiaca. Anche in questo caso è sconsigliata l’autodiagnosi o la diagnosi con test non riconosciuti. Ma cos’è la sensibilità al glutine?
Cos’è la sensibilità al glutine?
Chi soffre di sensibilità al glutine riferisce disturbi gastro-intestinali, malessere, stanchezza, mal di testa, ecc. che scompaiono evitando il consumo di prodotti contenenti glutine.
Attualmente non ci sono test diagnostici per identificare questa condizione perché non provoca lesioni alla mucosa intestinale né sono rilevabili alterazioni specifiche agli esami del sangue. La diagnosi in questo caso è esclusivamente clinica basata sulla sintomatologia riferita dal paziente.
A partire da questo, dopo aver escluso la presenza di celiachia e di allergia, lo specialista esamina il quadro clinico in seguito all’esclusione del glutine dalla dieta, con la scomparsa dei sintomi e la loro ricomparsa nel momento della reintroduzione. Questo può far concludere che si tratta di sensibilità.
Sulla sensibilità persistono ancora molti punti critici. Non sono infatti ancora chiari i meccanismi che la inducono e spesso i sintomi possono essere ricondotti ad altri fattori dietetici indipendenti dal glutine e dagli alimenti che lo contengono.
Tra questi, un ruolo nello sviluppo della sintomatologia sembra associabile ai FODMAP (zuccheri contenuti in cereali, derivati, frutta e verdura, ecc.) che non vengono assorbiti a livello intestinale permanendo nel lume dove vengono fermentati.


Dieta senza glutine
Nelle persone intolleranti al glutine l’assunzione, anche involontaria, di queste proteine provoca una sintomatologia debilitante nell’immediato e nel lungo termine. Solo la dieta gluten free, rigida e permanente, può prevenire le problematiche e consentire uno stato di salute ottimale.
La dieta senza glutine è quindi una terapia. Purtroppo stiamo osservando il continuo aumento del numero di persone che aderiscono arbitrariamente a diete prive di glutine.
In alcuni casi può essere una scelta “pratica” indotta dalla presenza di un familiare celiaco per evitare un doppio lavoro in cucina per la preparazione dei pasti differenziati. Molto più spesso è una scelta dettata dalla moda, basata sulla convinzione che l’eliminazione del glutine favorisca il dimagrimento, il benessere e prevenga l’insorgenza di alcune patologie.
La percezione di un effetto positivo può semplicemente derivare da una maggiore attenzione alla dieta (eliminazione di pizza, pane, pasta che venivano consumati in quantità elevate, maggiore attenzione alla scelta degli ingredienti, ecc.) e all’effetto placebo che rafforza la convinzione di un beneficio soprattutto quando c’è un largo consenso pubblico a quel comportamento (addirittura alcune attrici americane hanno scritto libri a favore della dieta senza glutine!).
In realtà, non è ancora stato dimostrato che il glutine sia in sé dannoso, anche se le campagne di marketing tendono a farci credere il contrario (in Italia il mercato del gluten free vale oggi 150 milioni di euro l’anno…).
Anzi, gli studi scientifici stanno dimostrando che, in chi non è celiaco, la dieta priva di glutine non solo è inutile, ma potrebbe essere potenzialmente dannosa perché sbilanciata e facilmente priva/povera di cereali, soprattutto integrali, che hanno invece un’importante ruolo preventivo nei confronti di varie condizioni patologiche.
Ricordate: la dieta senza glutine non ha alcuno specifico effetto sul miglioramento delle condizioni di salute delle persone che non presentano dimostrate reazioni avverse al glutine o altre specifiche patologie (es: autoimmuni) che possono trarne benefico!
Il “senza glutine”
Come facciamo a riconoscere un prodotto idoneo a chi segue una dieta gluten free? Escludendo i numerosi alimenti naturalmente privi di glutine (cereali e pseudocereali in chicco come riso, mais, amaranto, quinoa, grano saraceno, teff, verdura, frutta, frutta secca) e i loro derivati, se non presentano aggiunta di altri cereali o contaminazioni, la lettura delle etichette ci permette di identificare rapidamente i prodotti adatti.
Un prodotto può essere definito “senza glutine” se contiene una quantità di glutine inferiore ai 20 ppm, pari a 20 mg di glutine all’interno di 1 kg di alimento.
La dicitura “senza glutine” è di natura volontaria: qualsiasi alimento del libero commercio e della ristorazione, per cui le aziende o i ristoratori possano garantire l’assenza di glutine (glutine < 20 ppm), può riportare la dicitura “senza glutine”.
Questo garantisce non solo l’assenza di glutine o cereali contenenti glutine tra gli ingredienti, ma anche l’assenza di potenziali fonti di contaminazione durante tutto il processo produttivo. Quindi le aziende che volontariamente decidono utilizzare il claim, hanno la responsabilità di dover garantire questo requisito.
L’indicazione “senza glutine, specificamente formulato per celiaci” o “senza glutine, specificamente formulato per persone intolleranti al glutine”, è obbligatoria per i prodotti inseriti nel Registro Nazionale degli Alimenti Senza Glutine, erogati dal SSN e consultabile sul sito del Ministero della Salute.
“Può contenere tracce di…” è una dicitura volontaria utilizzata dalle aziende per indicare una potenziale presenza di glutine per contaminazione accidentale, ma la normativa vigente non regolamenta questo claim, infatti non è obbligatorio dichiarare l’eventuale presenza potenziale di glutine per contaminazione accidentale.
È comunque auspicabile che coloro che devo escludere il glutine dalla propria dieta siano educati ad utilizzare l’ampia scelta di prodotti vegetali naturalmente privi di glutine, senza ricorre all’uso di prodotti industriali speciali.
A cura della Dott.ssa Maria Alessandra Tosatti
Bibliografia
- http://www.bmj.com/content/357/bmj.j1892
- http://www.iss.it/pres/?lang=1&id=1646&tipo=6
- http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1461&area=nutrizione&menu=patologie
- http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato369414.pdf
- Sollid L and Thorsby E. HLAsusceptibility genes in celiac disease: genetic mapping and role in pathogenesis. Gastroenterology.1993;105: 910-22
- American Dietetic Association. Evidence-based nutrition practice guidelines on celiac disease. May 2009
- Fasano A, Catassi C. Clinical Practice. Celiac Disease. N Engl J Med 2012; 367: 2419-26.
- Linee Guida per la diagnosi e follow up della celiachia: http://www.celiachia.it/Aic/AIC.aspx?SS=351&M=863
- Associazione Italiana Celiachia (AIC): http://www.celiachia.it/
- Oxentenko AS, Murray JA. Celiac Disease: Ten Things That Every Gastroenterologist Should Know. Clin Gastroenterol Hepatol. 2015 Aug;13(8):1396-404
- Pelkowski TD, Viera AJ. Celiac Disease: Diagnosis and Management. Am Fam Physician. 2014 Jan 15;89(2):99-105.