Cosa sono gli acidi grassi e perché alcuni sono essenziali? Quali sono le fonti nutrizionali degli acidi grassi essenziali?
Quando si parla di grassi o lipidi è facile individuare alcuni nutrienti normalmente presenti nei cibi. Non tutti i grassi però sono uguali e, per alimentarci più consapevolmente, sarebbe utile comprenderne la classificazione.
Sentiamo spesso parlare di acidi grassi buoni e cattivi perché alcuni lipidi favoriscono l’insorgenza di patologie cardio-circolatorie mentre altri ne riducono l’incidenza. I grassi tra loro condividono alcune caratteristiche ma, allo stesso tempo, possono avere strutture differenti. Alcuni di questi possono essere introdotti solo con la dieta e per questo vengono definiti essenziali o indispensabili.
Cosa sono gli acidi grassi e perché alcuni sono essenziali
I grassi sono definiti acidi perché mostrano una struttura lineare formata da atomi di carboni e di idrogeni e una parte terminale che presenta un ossigeno e un idrogeno che facilmente può essere staccato sottoforma di ione positivo (H+). La capacità di perdere ioni positivi di idrogeno è una caratteristica di tutte le sostanze definite acidi.
Non tutti, però, presentano questa caratteristica in modo spiccato. Molti acidi sono estremamente reattivi (come quello cloridrico presente nello stomaco), ma nel caso dei grassi ci riferiamo ad acidi deboli senza le evidenti capacità corrosive di quelli forti. Come vedremo più avanti, la loro caratteristica acidità può comportare benefici per la salute.
Una classificazione dei grassi può essere fatta tenendo conto della catena carboniosa di cui sono composti. I grassi con carboni legati tra loro da singoli legami sono definiti saturi, mentre quelli che contengono uno o più doppi legami sono definiti insaturi.
Quando abbiamo un solo doppio legame ci riferiamo agli acidi grassi monoinsaturi, come nel caso dell’acido oleico presente nell’olio d’oliva. Se abbiamo più doppi legami ci riferiamo ad acidi grassi polinsaturi. Poiché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli, gli acidi grassi polinsaturi devono essere introdotti dall’esterno e da qui la definizione di essenzialità.
Tra i grassi polinsaturi possiamo considerare una classificazione più specifica in omega 3 e omega 6.
Il termine omega si riferisce all’ultimo carbone della catena, il numero individua il primo doppio legame a partire dal carbonio finale. Se l’acido oleico, un acido grasso monoinsaturo presente in alcuni oli vegetali, può essere ottenuto dalla conversione dell’acido stearico con l’aggiunta di un doppio legame, non siamo in grado di ottenere gli omega 3 e gli omega 6 per la mancanza degli adeguati enzimi necessari alla loro biosintesi.
Ecco perché sono definiti essenziali. Tuttavia, possiamo fare un distinguo tra acidi grassi essenziali precursori, come l’acido linoleico (LA, 18 carboni e 2 doppi legami) e l’acido alfa linoleico (ALA, 18 carboni e 3 doppi legami), e gli acidi grassi a lunga catena, come l’acido arachidonico (AA, 20 carboni e 4 doppi legami), l’acido docosaesaenoico (DHA, 22 carboni e 6 doppi legami) e l’acido eicosapenatenoico (EPA, 22 carboni e 5 doppi legami). Introduciamo i primi con la dieta mentre la seconda classe, almeno potenzialmente, viene sintetizzata a partire dai primi mediante processi di allungamento della catena e di incremento dei doppi legami.
Qual è la funzione degli acidi grassi essenziali
Come tutti i grassi, anche quelli essenziali costituiscono una fonte energetica utilizzabile dal nostro organismo. Ogni grammo di grassi apporta 9 kcal, ciò significa che un cucchiaio di olio di circa 10 grammi, qualunque sia la sua composizione in grassi saturi o insaturi, fornisce circa 90 kcal.
Non è da sottovalutare la resa energetica dei grassi perché, qualunque sia la loro provenienza o composizione, saranno anche dirottati verso l’utilizzazione e quindi la produzione di energia. Il resto potrà essere depositato come riserva e far parte delle membrane cellulari. La presenza di grassi insaturi nelle membrane cellulari darà una maggiore fluidità a queste, poiché i doppi legami conferiscono una forma ripiegata della struttura carboniosa del grasso che limita l’impacchettamento e quindi la solidità delle membrane stesse. Più doppi legami ci sono in un acido grasso, maggiore sarà il ripiegamento dell’impalcatura carboniosa.
Gli acidi grassi vengono incorporati nelle membrane grazie alla presenza dei fosfolipidi, ciascuno dei quali è formato da una struttura globulare (chiamata testa) che ha la caratteristica di essere solubile in acqua. Gli acidi grassi, invece, formano due code attaccate alla testa che mostrano una ridotta solubilità in acqua.
Le membrane sono formate da numerosi fosfolipidi affiancati l’un l’altro in due file contrapposte con le code rivolte verso l’interno e le teste rivolte verso le estremità, proprio a causa della differente solubilità in acqua delle due parti della molecola. Le membrane rappresentano l’involucro di protezione di ogni cellula ma hanno anche un ruolo decisivo per la comunicazione tra l’esterno e l’interno della cellula stessa.
Un esempio particolare di membrana specializzata è la guaina mielinica dei neuroni che svolge il ruolo decisivo di isolare la cellula nervosa e di coadiuvare la comunicazione tra neuroni adiacenti.
Un altro ruolo determinante degli acidi grassi polinsaturi è quello di prendere parte alla via di segnalazione intracellulare formando molecole segnale all’interno della cellula. Gli acidi grassi essenziali possono essere trasformati anche in molecole chiamate eicosanoidi e docosanoidi (prostacicline, prostaglandine, trombossani, leucotrieni, ecc.) che funzionano da molecole di comunicazione per l’intero organismo, modulando la risposta infiammatoria, immunitaria e numerose altre funzioni di comunicazione per l’organismo intero.
Le fonti nutrizionali degli acidi grassi essenziali
I grassi nel cibo, così come negli adipociti che hanno la funzione di riserva, si trovano sottoforma di trigliceridi o triacilgliceroli. Come suggerisce la parola stessa, essi sono formati da una molecola di glicerolo che lega tre acidi grassi.
Dal punto di vista alimentare esistono diverse fonti di grassi. I cibi di origine animale in generale tendono a contenere una prevalenza di trigliceridi con acidi grassi saturi che, per il fenomeno di impacchettamento delle catene carboniose di molecole lipidiche adiacenti, tendono a mostrarsi in forma solida a temperatura ambiente. È il caso del tipico grasso presente nella carne o nello strutto. Anche i formaggi presentano molti grassi saturi che conferiscono la consistenza solida a questi alimenti.
Nei tessuti animali notiamo un arricchimento di grassi saturi, più evidente in animali poligastrici, perché la popolazione microbica presente nell’apparato gastrico dei ruminanti tende a ossidare facilmente i doppi legami di acidi grassi insaturi introdotti con l’alimentazione, con conseguente trasformazione in acidi grassi saturi. Nei tessuti degli animali onnivori si riscontra un più alto tenore di acidi grassi insaturi che dipende strettamente dalla loro alimentazione.
I pesci rappresentano un caso particolare di animali con alto tenore di acidi grassi polinsaturi dipendente da un meccanismo di concentrazione lungo la catena alimentare, che porta all’accumulo di queste molecole nei tessuti di quegli animali in cima alla stessa catena. Nella realtà dei fatti, i pesci, così come i mammiferi, non sono in grado di sintetizzare acidi grassi insaturi e hanno una limitata capacità di conversione dei precursori in grassi essenziali a lunga catena.
Tuttavia alla base della catena trofica sono presenti le microalghe che hanno una maggiore capacità di sintesi degli acidi grassi polinsaturi come EPA e DHA, che subiranno il fenomeno di concentrazione nei tessuti dei predatori in cima alla catena alimentare.
Nei vegetali possiamo trovare grassi saturi ma anche una quantità rilevante di acidi grassi insaturi precursori.
Questi tendono a conferire, a temperatura ambiente, la consistenza liquida degli oli vegetali. In molti oli abbiamo infatti una spiccata presenza di mono e polinsaturi. Anche noci e semi contengono quote rilevanti di acidi grassi insaturi che spiegano il loro effetto benefico dal punto di vista nutrizionale.
Esistono anche alimenti vegetali non concentrati, come alghe e piante spontanee, che possono contenere una discreta percentuale di grassi essenziali. Di contro, non sempre il loro consumo in una dieta occidentale è tale da essere rilevante.
Ci sono, inoltre, anche fonti vegetali ricche di grassi saturi, come nel caso dell’olio di palma, ricco di acido palmitico (grasso saturo con 16 carboni). Tuttavia, questa presenza può dipendere in parte anche dal processo di estrazione. Le margarine vegetali, che si prestano come alternative ai condimenti animali, possono contenere grassi idrogenati in seguito alla modifica degli acidi grassi polinsaturi derivata dal processo produttivo.
Oggi esistono tecniche per evitare questi sottoprodotti nocivi, tuttavia la consistenza solida a temperatura ambiente ci suggerisce ugualmente un alto tenore di grassi saturi.
Gli acidi grassi e l’intestino
Non tutti gli acidi grassi sono già presenti nel cibo che ingeriamo. Esistono acidi grassi a catena corta che vengono prodotti dal microbiota intestinale in seguito a scissione dei polisaccaridi, specialmente quelli non digeriti o indigeribili che arrivano nel colon. Questi grassi (acido acetico, propionico e butirrico) sono volatili e hanno molteplici funzioni: acidificano il lume intestinale favorendo la crescita di microbi patogeni, nutrono le cellule della parete intestinale e per le loro caratteristiche chimico-fisiche possono essere assorbite più facilmente degli altri acidi grassi e fornire una fonte energetica “pulita” per il fegato.
Anche la fibra alimentare, considerata acalorica perché non digeribile dai nostri enzimi, presenta una quota calorica derivata proprio dal recupero energetico attraverso la fermentazione microbica intestinale e l’assorbimento degli acidi grassi a catena corta.
Tra le altre caratteristiche degli acidi grassi troviamo anche l’effetto antinfiammatorio e l’immunomodulazione. Di recente, è cresciuta l’attenzione nei confronti degli acidi grassi a catena media. Essi sembrano condividere alcune caratteristiche benefiche degli acidi grassi a catena corta ma, a differenza di questi ultimi, è possibile trovarli in alcuni cibi. Una delle fonti più conosciute è l’olio di cocco, ricco di acido laurico (grasso saturo con 12 carboni).


Le assunzioni adeguate
Come abbiamo già detto, gli acidi grassi polinsaturi sono considerati indispensabili perché non siamo in grado di sintetizzarli. Per questo motivo, in passato sono stati definiti vitamina F. A differenza delle altre vitamine, gli introiti sufficienti non sono stati ancora chiariti con precisione.
Sappiamo che almeno il 5-10% del nostro introito calorico (e quindi circa 1/3 dell’apporto dei grassi consigliati) dovrebbe essere ottenuto mediante acidi grassi essenziali. Di questi, si suggerisce un bilanciamento di omega 3 e omega 6 da 1:5 a 1:8. Ciò significa che l’apporto complessivo può essere molto variabile e dipende dall’introito alimentare complessivo.
Nella popolazione generale, nonostante tante ipotesi fatte nel tempo, non ci si riferisce nello specifico a precursori o acidi grassi a lunga catena. Infatti, non vi è ancora un consenso circa la reale efficienza di conversione dei precursori. Sappiamo che questa sembra essere molto ridotta e che buona parte degli acidi grassi essenziali viene comunque utilizzata a mero scopo energetico. La restante può essere convertita in AA, EPA e DHA anche se tale processo sembra estremamente limitato.
In alcune fasi della vita, come la gravidanza o in caso di ridotto apporto di acidi grassi a lunga catena, un simile processo potrebbe essere maggiormente stimolato per migliorarne l’efficienza. A scopo precauzionale, comunque, in gravidanza e nei primi anni di vita si consiglia un apporto aggiuntivo di DHA per favorire l’adeguata formazione del tessuto cerebrale.
Inoltre, gli omega 6 sembrano essere molto più rappresentati in natura rispetto agli omega 3. Questo fenomeno è abbastanza normale poiché abbiamo bisogno degli ultimi in quantità ridotte, anche se la nostra alimentazione occidentale predilige sempre più i primi a causa di un consumo consistente di oli vegetali. Tale aspetto spiega facilmente la proporzione tra omega 3 e omega 6 consigliata, spesso sbilanciata nella dieta occidentale.
Gli enzimi che convertono precursori in acidi grassi a lunga catena sono condivisi nel processo implicato nella maturazione di entrambe le classi di acidi grassi essenziali. Un eccesso di omega 6 potrebbe portare alla riduzione della maturazione degli omega 3. Squilibrio, questo, che si ripercuoterebbe anche nella produzione degli eicosanoidi sopraelencati, poiché le azioni contrapposte dei sottoprodotti delle due classi (anticoagulante e anti infiammatorio nel caso degli omega 3 e pro coagulante e pro infiammatorio nel caso degli omega 6) potrebbero non essere più bilanciate. Ovviamente, un eccesso di omega 3 potrebbe portare a una riduzione della reattività dell’organismo, per quanto sia un evento meno probabile a causa della ridotta presenza nel cibo.
È strettamente necessario consumare pesce?
Abbiamo già detto che i cibi vegetali sono una fonte di precursori irrinunciabile. Tuttavia, non sempre riescono a garantire la quota di acidi grassi a lunga catena, specialmente di omega 3. D’altro canto, è molto difficile capire quale sia la reale esigenza di alcuni grassi essenziali. Da un punto di vista etnoculturale è impensabile ipotizzare che qualunque popolazione, distante da zone di mare in entroterra montani, possa comunque garantire la quota di pesce sufficiente al fabbisogno di grassi essenziali.
Infatti, la letteratura ci suggerisce che i livelli di grassi essenziali nel sangue di individui vegetariani somigliano ai livelli presenti in individui non abituati al consumo di pesce. In articoli scientifici di etnobotanica viene anche suggerito come il gap di apporto di acidi grassi essenziali, nelle località rurali, possa essere colmato con un maggior consumo di piante spontanee, in modo particolare ciò avveniva prima della rivoluzione industriale alimentare.
Se ci soffermassimo meno sulle nostre esigenze e allargassimo il nostro sguardo a una situazione globale, sarebbe chiaro che non c’è pescato o allevamento di pesce che possa soddisfare le richieste mondiali. Inoltre, il sovrasfruttamento di tali risorse sta portando a conseguenze più o meno indirette sul clima e sul livello di inquinamento di suolo e acqua.
Per questo motivo, fino al sopraggiungere di evidenze più solide, sarebbe precauzionale garantire gli apporti di DHA almeno a quelle fasce di popolazione particolarmente a rischio attraverso integratori algali che non creano inquinamento e depauperamento di risorse. Normalmente facciamo molta leva sulla tecnologia nei settori più disparati, sarebbe questo uno di quei casi in cui potremmo farne uso per ottenere un vantaggio netto.
In tutte le altre circostanze sarà sufficiente garantire apporti corretti di precursori omega 3 attraverso semi e noci o oli ricchi di grassi essenziali come quello di semi di lino.
Prospettive future
L’apporto di grassi essenziali è correlato al rischio cardiovascolare attraverso vari meccanismi: l’apporto di acidi grassi polinsaturi riduce indirettamente l’incorporazione di grassi saturi nelle membrane, favorendo i meccanismi di regolazione di infiammazione e coagulazione. Inoltre, apporti elevati di polinsaturi (ottenibili solo attraverso estratti e non mediante i cibi tal quale) si sono dimostrati efficaci nella riduzione del colesterolo, una molecola non lipidica presente nelle lipoproteine e implicata nel processo ateromatoso.
È chiaro quindi che ottenere fonti ecocompatibili e sufficientemente concentrate diventa una sfida futura su cui c’è ancora molto lavoro da fare. Una via interessante è la valutazione delle fonti di acido stearidonico (STA, 18 carboni e 4 doppi legami), un acido grasso polinsaturo della serie omega 3 che viene ottenuto dopo il primo passaggio di maturazione dell’acido alfa linolenico. Poiché questo step metabolico sembra essere uno dei più limitanti e contribuisce alla ridotta capacità di sintesi degli acidi grassi a catena lunga, avere fonti concentrate di STA potrebbe ottimizzare la capacità di sintesi di EPA e DHA.
Molte piante spontanee edibili, come portulaca, borragine, malva, tarassaco e ortica, mostrano un elevato contenuto di questo acido grasso. Tali piante potrebbero essere utilizzate come alimenti e impiegate nella produzione di estratti concentrati di acidi grassi essenziali.
Per contattare il Dott. Gianluca Rizzo
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